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METALITALIA.COM - by Luca Paron - voto 6,5

Come una fenice che rinasce dalle proprie ceneri, così quel che restava dei Todio, con ben tre album alle spalle e in attività già dal 1992, ha stretto i denti e trovato nuova vita artistica con la cantante Barbara Licciardi, concretizzatasi per ora in "Sixteen" (cifra riferita agli anni trascorsi dall'alba del gruppo alle registrazioni del disco in questione). La maturità i ragazzi se la sono guadagnata sul campo, e tra le note dell'album c'è poco spazio per ingenuità e pressappochismo: tutto sembra ben curato a partire dai suoni per arrivare agli arrangiamenti, che danno una marcia in più, fino alla buona prestazione strumentale che lascia capire le capacità dei nostri pur senza cadere nel funambolismo.

 Anzi, proprio il sapiente dosaggio di assoli, raffinatezze e pillole di stili diversi rende il lavoro interessante e lo differenzia dalla miriade di abitanti del sottobosco metallico. Su una base che potremmo definire heavy-prog (ma ripetiamo, senza eccedere in sterili solipsismi), i cinque maceratesi costruiscono strutture portanti che li avvicinano di volta in volta a epoche e regioni metalliche diverse: "Wild Road" e "Wet Day" (tra le migliori del lotto) pescano dal nuovo prog scandinavo alla Evergrey, la title track chiama in causa gli Stone Temple Pilots e una certa vocalità nera per un risultato particolare ma ben fatto, mentre in "Doberman" Barbara sembra la figlia illegittima di Ian Astbury dei Cult. Potremmo continuare citando la metal ballad "Prayer", che si chiude in maniera squisitamente neoclassica, o "Song 2", che sembra attualizzare il riff di "Paranoid" e aggiungergli una bella parte di piano nell'intermezzo del pezzo. Altra canzone riuscita è "Johnny", funky metal novantiano dal basso slappato che forse ha solo una linea vocale deboluccia.

Nota di merito per le tastiere, sempre in grado di dare il giusto colore al pezzo ma mai invadenti, e disclaimer per la voce di Barbara: bravissima cantante che sforna melodie anche non ovvie, ma che fatica a entrare in sintonia con alcuni dei brani a causa del timbro leggermente distante da quello che siete abituati a sentire nel genere. Creare un piatto con così tanti ingredienti è un bel rischio, e non tutto riesce a puntino ("Living In My Head" e "Song For A Friend" non decollano); ma la band ha ottime carte da giocare e vale assolutamente la pena che gli diate un ascolto. Coraggiosi, professionali e ispirati: che volete ancora?

 

 

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